[Storia] di Lionel Messi Parte 1

By Roberto Saviano

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    Moriremo. Noi siamo stupidi.

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    La storia che vi proporrò oggi parla di un Piccolo, Grande uomo, che non si è mai fermato difronte alle insidie che la vita gli ha posto davanti, quest'uomo è Lionel Messi, un nome, una leggenda vivente.
    Il racconto che vi posterò qui di seguito è stato scritto da Roberto Saviano, scrittore contemporaneo che tratta temi di attualità, dalla mafia alle storie comuni di persone, come Messi.
    Dividerò il racconto in due parti, per facilitare la lettura.
    Spero sia di vostro gradimento ;)

    BARCELLONA - Lo incontro negli spogliatoi del Camp Nou di Barcellona, uno stadio enorme, il terzo più grande del mondo. Dagli spalti invece Messi è una macchiolina, incontrollabile e velocissima. Da vicino è un ragazzo mingherlino ma sodo, timidissimo, parla quasi sussurrando una cantilena argentina, il viso dolce e pulito senza un filo di barba. Lionel Messi è il più piccolo campione di calcio vivente. La Pulga, la pulce, è il suo soprannome. Ha la statura e il corpo di un bambino. Fu infatti da bambino, intorno ai dieci anni, che Lionel Messi smise di crescere. Le gambe degli altri si allungavano, le mani pure, la voce cambiava. E Leo restava piccolo. Qualcosa non andava e le analisi lo confermarono: l'ormone della crescita era inibito. Messi era affetto da una rara forma di nanismo.

    Con l'ormone della crescita, si bloccò tutto. E nascondere il problema era impossibile. Tra gli amici, nel campetto di calcio, tutti si accorgono che Lionel si è fermato: "Ero sempre il più piccolo di tutti, qualunque cosa facessi, ovunque andassi". Dicono proprio così: "Lionel si è fermato". Come se fosse rimasto indietro, da qualche parte. A undici anni, un metro e quaranta scarsi, gli va larga la maglietta del Newell's Old Boys, la sua squadra a Rosario, in Argentina. Balla nei pantaloncini enormi, nelle scarpe, per quanto stretti i lacci, un po' ciabatta. È un giocatore fenomenale: però nel corpo di un bimbetto di otto anni, non di un adolescente. Proprio nell'età in cui, intravedendo un futuro, ci sarebbe da far crescere un talento, la crescita primaria, quella di braccia, busto e gambe, si arresta.

    Per Messi è la fine della speranza che nutre in se stesso dal suo primissimo debutto su un campo da calcio, a cinque anni. Sente che con la crescita è finita anche ogni possibilità di diventare ciò che sogna. I medici però si accorgono che il suo deficit può essere transitorio, se contrastato in tempo. L'unico modo per cercare di intervenire è una terapia a base dell'ormone "gh": anni e anni di continuo bombardamento che gli permettano di recuperare i centimetri necessari per fronteggiare i colossi del calcio moderno.

    si tratta di una cura molto costosa che la famiglia non può permettersi: siringhe da cinquecento euro l'una, da fare tutti i giorni. Giocare a pallone per poter crescere, crescere per poter giocare: questa diviene d'ora in avanti l'unica strada. Lionel, un modo di guarire che non riguardi la passione della sua vita, il calcio, non riesce nemmeno a immaginarlo.

    Ma quelle dannate cure potrà permettersele solo se un club di un certo livello lo prende sotto le sue ali e gliele paga. E l'Argentina sta sprofondando nella devastante crisi economica, da cui fuggono prima gli investimenti, poi pure le persone, i cui risparmi si volatilizzano col crollo dei titoli di stato. Nipoti e pronipoti di immigrati cresciuti nel benessere cercano la salvezza emigrando nei paesi di origine dei loro avi. In quella situazione, nessuna società argentina, pur intuendo il talento del piccolo Messi, se la sente di accollarsi i costi di una simile scommessa.

    Anche se dovesse crescere qualche centimetro in più - questo è il ragionamento - nel calcio moderno ormai senza un fisico possente non si è più nulla. La pulce resterà schiacciata da una difesa massiccia, la pulce non potrà segnare gol di testa, la pulce non reggerà agli sforzi anaerobici richiesti ai centravanti di oggi. Ma Lionel Messi continua a giocare lo stesso nella sua squadra. Sa di doverlo fare come se avesse dieci piedi, correre più veloce di un puledro, essere imbattibile palla a terra, se vuole sperare di diventare un calciatore vero, un professionista.

    Durante una partita, lo intravede un osservatore. Nella vita dei calciatori gli osservatori sono tutto. Ogni partita che guardano, ogni punizione che considerano eseguita in modo perfetto, ogni ragazzino che decidono di seguire, ogni padre con cui vanno a parlare, significa tracciare un destino. Disegnarlo nelle linee generali, aprirgli una porta: ma nel caso di Messi, ciò che gli viene offerto, rappresenta molto di più. Non gli viene data solo l'opportunità di diventare un calciatore, ma la possibilità di guarire, di avere davanti una vita normale. Prima di vederlo, gli osservatori che sentono parlare di lui sono comunque molto scettici. "Se è troppo piccolo, non ha speranza, anche se è forte", pensano. E invece: "Ci vollero cinque minuti per capire che era un predestinato. In un attimo fu evidente quanto quel ragazzo fosse speciale". Questo lo afferma Carles Rexach, direttore sportivo del Barcellona, dopo aver visto Leo in campo. È così evidente che Messi ha nei piedi un talento unico, qualcosa che va oltre il calcio stesso: a guardarlo giocare è come se si sentisse una musica, come se in un mosaico scollato ogni tassello tornasse apposto.

    Rexach vuole fermarlo subito: "Chiunque fosse passato di lì, l'avrebbe comprato a peso d'oro". E così fanno un primo contratto su un fazzoletto di carta, un tovagliolo da bar aperto. Firmano lui e il padre della pulce. Quel fazzoletto è ciò che cambierà la vita a Lionel. Il Barcellona ci crede in quell'eterno bimbo. Decide di investire nella cura del maledetto ormone che si è inceppato. Ma per curarsi, Lionel deve trasferirsi in Spagna con tutta la famiglia, che insieme a lui lascia Rosario senza documenti, senza lavoro, fidandosi di un contratto stilato su un tovagliolo, sperando che dentro a quel corpo infantile possa esserci davvero il futuro di tutti. Dal 2000, per tre anni, la società garantisce a Messi l'assistenza medica necessaria. Crede che un ragazzino disposto a giocare a calcio per salvarsi da una vita d'inferno abbia dentro il carburante raro che ti fa arrivare ovunque.

    Le cure però spezzano in due. Hai sempre nausea, vomiti anche l'anima. I peli in faccia che non ti crescono. Poi i muscoli te li senti scoppiare dentro, le ossa crepare. Tutto ti si allunga, si dilata in pochi mesi, un tempo che avrebbe dovuto invece essere di anni. "Non potevo permettermi di sentire dolore", dice Messi, "non potevo permettermi di mostrarlo davanti al mio nuovo club. Perché a loro dovevo tutto". La differenza tra chi il proprio talento lo spende per realizzarsi e chi su di esso si gioca tutto è abissale. L'arte diventa la tua vita non nel senso che totalizza ogni cosa, ma che solo la tua arte può continuare a farti campare, a garantirti il futuro. Non esiste un piano b, qualsiasi alternativa su cui poter ripiegare.

    Dopo tre anni finalmente il Barcellona convoca Lionel Messi e la famiglia sa che se non sarà in grado di giocare come ci si aspetta, le difficoltà a tirare avanti saranno insormontabili. In Argentina hanno perso tutto e in Spagna non hanno ancora niente. E Leo, a quel punto, ricadrebbe sulle loro spalle. Ma quando La Pulce gioca, sfuma ogni ansia. Allenandosi duramente con il sostegno della squadra, Messi riesce a crescere non solo in bravura, ma anche in altezza, anno dopo anno, centimetro dopo centimetro spremuto dai muscoli, levigato nelle ossa. Ogni centimetro acquisito una sofferenza. Nessuno sa davvero quanto misuri adesso. Qualcuno lo dà appena sopra il metro e cinquanta, qualcuno al di sotto, qualche sito parla di un Messi che continuando a crescere è arrivato al metro e sessanta. Le stime ufficiali mutano, concedendogli via via qualche centimetro in più, come se fosse un merito, un premio conquistato in campo.

    Fatto è che quando le due squadre sono in riga prima del fischio iniziale, l'occhio inquadra tutte le teste dei giocatori più o meno alla stessa altezza, mentre per trovare quella di Messi deve scendere almeno al livello delle spalle dei compagni. Per uno sport dove conta sempre più la potenza e, per un attaccante, i quasi due metri di Ibrahimovic e il metro e ottantacinque di Beckham sono diventati la norma, Lionel continua a somigliare pericolosamente a una pulce. Come dice Manuel Estiarte, il più forte pallanuotista di tutti i tempi: "È vero, bisogna calcolare che le probabilità che Messi esca sconfitto da un impatto corpo a corpo sono elevate, come elevato è il rischio che venga totalmente travolto dai difensori. Ma solo a una condizione... prima devono riuscire a raggiungerlo".

    E infatti nessuno riesce a stargli dietro. Il baricentro è basso, i difensori lo contrastano, ma lui non cade, né si sposta. Continua a tenere la corsa, rimbalza palla al piede, non si ferma, dribbla, scavalca, sguscia, fugge, finta. È imprendibile. A Barcellona malignano che le star della difesa del Real Madrid, Roberto Carlos e Fabio Cannavaro, non sono mai riusciti a vedere in faccia Lionel Messi perché non riescono a rincorrerlo. Leo è velocissimo, sfreccia via con i suoi piedi piccoli che sembrano mani per come riesce a tener palla, a controllarne ogni movimento. Per le sue finte, gli avversari inciampano nell'ingombro inutile dei loro piedi numero quarantacinque.

    In una pubblicità dove era stato invitato a disegnare con un pennarello la sua storia, è divertente e malinconico vedere Messi ritrarre se stesso come un bimbetto minuscolo tra lunghissime foreste di gambe, perso lì tra palloni troppo grandi che volano lontano. Ma quando toccano terra, lui veloce li aggancia e piccolo com'è riesce a passare tra le gambe di tutti e andare in porta. Quando ci sono le rimesse laterali e gli avversari riprendono fiato, è proprio in quel momento che lui schizza e li sorpassa, così quando si immaginavano, i marcatori, di averlo dietro la schiena, se lo ritrovano invece già cinque metri avanti. Il grande giocatore non è quello che si fa fare fallo, ma quello cui non arrivi a tendere nessuno sgambetto.

    Vedere Messi significa osservare qualcosa che va oltre il calcio e coincide con la bellezza stessa. Qualcosa di simile a uno slancio, quasi un brivido di consapevolezza, un'epifania che permette a chi è lì, a vederlo sgambettare e giocare con la palla, di non riuscire più a percepire alcuna separazione tra sé e lo spettacolo cui sta assistendo, di confondersi pienamente con ciò che vede, tanto da sentirsi tutt'uno con quel movimento diseguale ma armonico. In questo le giocate di Messi sono paragonabili alle suonate di Arturo Benedetti Michelangeli, ai visi di Raffaello, alla tromba di Chet Baker, alle formule matematiche della teoria dei giochi di John Nash, a tutto ciò che smette di essere suono, materia, colore, e diventa qualcosa che appartiene a ogni elemento, e alla vita stessa. Senza più separazione, distanza. È lì, e non si può vivere senza. E non si è mai vissuti senza, solo che quando si scoprono per la prima volta, quando per la prima volta le si osserva tanto da restarne ipnotizzati, la commozione è inevitabile e non si arriva ad altro che a intuire se stessi. A guardarsi nel proprio fondo.

    Ascoltare i cronisti sportivi che commentano le sue cavalcate basterebbe per definire la sua epica di giocoliere. Durante un incontro Barcellona-Real Madrid, il cronista vedendolo assediato da tentativi di fallo smette di descrivere la scena e inizia solo un soddisfatto: "Non va giù, non va giù, non va giuuuuuù". Durante un'altra sfida fra le storiche arcirivali, l'ola estatica "Messi, Messi, Messi, Messi" riceve una "a" supplementare che gli rimarrà addosso: Messia. È questo l'altro soprannome che La Pulce si è guadagnata con la grazia beffarda delle sue avanzate, con lo stupore quasi mistico che suscita il suo gioco. "L'uomo si fece Dio e inviò il suo profeta", così dicono le scritte di un servizio televisivo dedicato a El Mesias, e a colui che come incarnazione divina del calcio lo precedette: Diego Armando Maradona.


    © Roberto Saviano 2009. Published by Arrangement with Roberto Santachiara Agenzia Letteraria

    Sitografia: www.robertosaviano.it
     
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  2. savo97
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    saviano *-*
     
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    c owl yl


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    bello anche se l'avevo gia letta l'ho riletta volentieri D:
     
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  4. • CoNan •
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    Bravo.. ti meriti un flower
    Il calcio mi fa schifo XD


     
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    Moriremo. Noi siamo stupidi.

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    Non si parla di calcio, ma di Lionel Messi <.<
     
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  6. • CoNan •
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    CITAZIONE (~VendikatoR~ @ 26/8/2011, 14:18) 
    Non si parla di calcio, ma di Lionel Messi <.<

    Fa lostesso :ph34r:

    Forse anche io ho l'ormone della crescita che si è bloccato! XD
     
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  7. DjDraghetto
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    molto bello ^_^
     
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    Vipera Bianca

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    Complimenti ^^
     
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  9. ventus99
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    bella storia

    anzi bellissima
     
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  10. KingMetin96black
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    CITAZIONE
    Non si parla di calcio, ma di Lionel Messi <.<

    Lionel Messi = CALCIO = :sick:
     
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  11. Billonzolo98
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    CITAZIONE (KingMetin96black @ 31/8/2011, 19:27) 
    CITAZIONE
    Non si parla di calcio, ma di Lionel Messi <.<

    Lionel Messi = CALCIO = :sick:

    Non puoi capire cio che intendeva Vendi ;)
     
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  12. playboy@G-man
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    l'havevo gia letta ma è bella mi piace brv =)
     
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  13. † Pyramid Head †
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    e come diceva ronaldo: a 10 anni ero il piu' forte della mia citta', a 15 della regione e poi a 21...messi mi ha fatto il cul.o xD
     
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12 replies since 26/8/2011, 12:18   744 views
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