Cassandra - parte prima-

Racconto breve genere Horror

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    Vipera Bianca

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    Questa è forse la storia più strana che abbiate mai ascoltato. Ho un certo pudore a narrarvela: temo di venire preso per pazzo. Eppure ciò che sto per dirvi è la pura verità, ogni parola che da ora in poi sentirete uscire dalle mie labbra non è altro che il racconto scarno e distaccato di ciò che è avvenuto nella realtà.

    Dunque, dovete sapere che in paese vengo considerato un tipo strano e ombroso. Sono l’unico abitante dotato di una cultura superiore alla media, a parte forse il parroco e il medico condotto. Ma, contrariamente a loro, prediligo la solitudine e una passeggiata nella brughiera di notte a una serata trascorsa al caldo a bere e a raccontare pettegolezzi nella taverna in piazza. Forse questo mio gusto nell’appartarmi è stato scambiato per arroganza dalla gente del paese e dai contadini dei dintorni, adusi alla bonaria cordialità del dottore e del parroco. Ma non si tratta di niente di tutto questo. Mi piace soltanto trascorrere le mie giornate da solo, perso nei miei pensieri.

    Il vecchio cimitero di campagna, a pochi chilometri dall’abitato, è uno dei posti da me preferiti, specialmente di notte. Lo so, tutto questo può apparire morboso e di pessimo gusto, ma è così. Forse preferisco la compagnia silenziosa dei morti a quella chiassosa e grossolana dei vivi. Ma, se lo vedeste, sono sicuro che anche voi ve ne innamorereste. E’ solitario, immerso nel verde, isolato dal resto del mondo. Il paese, non molto distante, è nascosto da una collinetta che lo cela allo sguardo di chi vi passa davanti. Intorno nient’altro che campi. Di tanto in tanto il richiamo di un pastore lontano o il lento scampanìo di un gregge al pascolo. Spesso una nebbia leggera avvolge i prati d’intorno, regalando al cimitero quasi un’atmosfera incantata. E di notte, poi. Non un rumore, non un suono. Il muro di cinta, non molto alto, è illuminato da un unico, fioco lampione. Se si sbircia all’interno dal cancello arrugginito le luci delle lampade votive creano magiche ombre danzanti sui sepolcri candidi. Dentro, c’è molto spazio. A parte i forni, incastonati nei muri, gran parte del prato è privo di tombe. L'erba è corta e curata. Niente erbacce, niente abbandono. Capirete, il paese è piccolo e non è molta la gente che viene sepolta nel cimitero.

    Tornavo appunto da una delle mie lunghe passeggiate solitarie, un paio di notti fa, quando - passando davanti al cimitero - udii degli strani rumori.

    Incuriosito, ma non spaventato - non temo i morti io, piuttosto i vivi - mi affacciai al cancello, giusto per controllare che non ci fosse qualcuno che danneggiava i sepolcri. Ma, da lì, non riuscivo a vedere altro che quei gruppi di tombe sparse al centro del prato.

    Così, vincendo ogni ritrosia, mi decisi a spingere il cancello e a entrare nel cimitero (non è mai chiuso a chiave, neanche di notte). Nonostante tutto cercai di agire il più silenziosamente possibile. Osservai per un attimo quelle tombe davanti alle quali tante volte mi ero soffermato a fantasticare sulla vita passata dei loro sconosciuti abitatori. Udivo ancora i rumori, ma non riuscivo a vedere niente. Non riuscivo a capire chi si aggirasse da solo nel cimitero di notte. A parte me stesso, ovviamente. Un’anima gemella, forse?

    Infine, pian piano, qualcosa si palesò davanti ai miei occhi. Da principio riuscii a vederlo soltanto come attraverso un filtro, non saprei spiegarmi meglio. Come quando non si riesce a mettere a fuoco qualcosa con lo sguardo. Poi la mia vista si affinò.

    Mi si ghiacciò il sangue nelle vene. Non so descrivere con precisione quello che vidi, nessun essere umano cosciente vi riuscirebbe. Posso soltanto dirvi che la definizione più precisa che mi venga adesso in mente è “fantasma”.

    Era un’ombra, vaga e assolutamente impalpabile, che si aggirava nei dintorni di una tomba ben precisa, compiendo dei gesti non molto chiari. La luna, in alto, illuminava la scena di una luce candida e spettrale e io - me ne rendo conto soltanto ora - tremavo come una foglia.

    Proprio in quel momento quell’ombra parve accorgersi della mia presenza e si volse verso di me. Mi chiamò con un gesto della mano deciso eppure gentile, e io mi resi conto soltanto che si trattava dell’immagine di un uomo alto e slanciato, dai tratti affilati e accattivanti. Ero troppo terrorizzato per rendermi conto di altro, eppure mi trovai ad avanzare verso di lui come attratto da una forza alla quale non potessi oppormi. Quando fui abbastanza vicino, l’ombra cominciò a parlarmi.


    * * *
    La visione.

    Ancora una volta la visione.
    Quell’immagine terribile ormai popolava i miei incubi notturni come un comune abitante del regno dei miei sogni.
    Mi ero svegliato nel cuore della notte con un grido lacerante che premeva dietro i miei denti serrati. Dovetti combattere a lungo per impedirgli di uscire dalle mie labbra.

    Mi resi conto di essere completamente ricoperto di gocce di sudore gelido. Un’occhiata allo specchio in camera, dopo aver acceso la luce, mi rivelò un uomo dall’aspetto scarmigliato, gli occhi infossati e sbarrati, un rivolo di bava che colava sul mento da un angolo della bocca. Guardai le lenzuola e le vidi appallottolate ai piedi del letto, nonostante non facesse affatto caldo. Non ne potevo più di quei maledetti sogni. Era l’ora di dire basta.

    * * *
    Tutto era iniziato pochi mesi prima, quando avevo cominciato a sognare quella donna.

    Mi ero trasferito in campagna da poco e, nei ritagli di tempo, avevo preso l’abitudine di fare lunghe passeggiate nei dintorni. Vivevo da solo - non mi ero mai voluto sposare, nonostante i ripetuti scongiuri di mia madre - e quindi potevo disporre a mio piacimento del tempo libero.

    Durante una di queste passeggiate solitarie - si era sul finire di settembre - mi era capitato di passare al limitare di un fitto bosco di abeti dal lungo fusto. Evitai di addentrarmici - non era il caso, ero vestito da città. Tuttavia mi attardai lungo i bordi, osservando l’intricato sottobosco e i rami caduti, fin dove lo sguardo si perdeva, in lontananza, in una nebbiolina fra gli alberi. Dopo qualche istante mi allontanai e tornai a casa. Mi sentivo perfettamente normale, e in forma. Tranquillo.

    Ma quella notte la sognai per la prima volta.
    * * *

    Mi apparve nel bel mezzo di uno strano sogno, non ancora un incubo. Era un sogno confuso, inquietante per la sua assoluta mancanza di riferimenti concreti.

    Poi apparve lei. Cassandra il suo nome. Non me lo disse, né io lo chiesi. Lo seppi da subito, non appena la vidi.
    Era bellissima. Nonostante tutto.

    Mi raggiunse da lontano come veleggiando nel mare invisibile dell’aria impalpabile del sogno. Sentii la sua presenza fin da quando cominciò a delinearsi davanti ai miei occhi. Odorava di muschio, freschezza, fragranze del bosco. Ma anche - non c’era forse in sottofondo? - dell’inebriante profumo della putrefazione.

    Quando la vidi stagliarsi nell’aria dinanzi a me, quasi non riuscii a trattenermi dal correrle incontro per abbracciarla. Ma sapevo che lei non avrebbe voluto.

    Il suo fascino su di me era un misto di attrazione e repulsione, paura e bellezza, orrore e desiderio. La osservai a lungo, senza rendermi conto di avere ancora la bocca spalancata per l’emozione.

    Il volto era un ovale perfetto, candido come le ossa di un teschio. Ma teschio non era, affatto. Le ciglia lunghe e nere incastonavano gli occhi di un azzurro fantastico. Ma non erano forse un po’ troppo acquose le cornee? Non erano forse un po’ troppo infossate le orbite? I capelli erano lunghi, molto lunghi e scuri, molto scuri. Ma forse non erano un po’ troppo sciupati e scarmigliati? E su quella pelle così candida, non risaltava un po’ troppo il rosso delle labbra? E cos’era quella piccola macchia scura su una delle guance troppo infossate? Un neo oppure i primi segni della consunzione?

    Il suo corpo era coperto da una tunica lunga, bianca, svolazzante. Assomigliava troppo a un sudario, forse, ma, oh, volete mettere quanto fossero affascinanti i suoi fianchi velati soltanto da quella veste quasi trasparente? Eccessivamente trasparente, però, perché il suo corpo era troppo snello per non apparire emaciato, troppo diafano per non dare un aspetto funereo a tutta la sua figura.

    Non riuscii a vedere altro di Cassandra, quella notte, tuttavia mi rimase quella sensazione terribile, inebriante di attrazione mista a repulsione, di amore e terrore mischiati in un unico cocktail irresistibile.

    Per quella prima notte fu abbastanza.


    Autore della storia Gianluca



    Spero vi sia piaciuta e per questo non perdetevi la seconda e ultima parte di questo racconto !!!
    [GM]Domenik
     
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  2. VaNiLLaRaiN
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    Bravoooo **
     
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  3. [GM]Enea
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    Mi è piaciuta davvero tanto! Aspetto con ansia la seconda parte!
     
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  4. ¥_$cùrìò™_¥
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    bella storia
     
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  5. Ø$üpë®$ü®åØ
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    Bellissima aspetto la senconda parte con Enea ò.ò
    Ma é Veramente Vera? D:
     
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  6. Å.Ï.G
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    Bellissimoooo
     
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5 replies since 9/8/2011, 19:23   118 views
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